Cultura e Società

I nerd hanno vinto… davvero?

Negli ultimi giorni, a seguito del successo di questa edizione del Lucca Comics, è apparso su molte bacheche Facebook questo articolo, in cui si sostiene che i nerd abbiano vinto. In sostanza, il fatto che le passioni nerd – in particolar modo quelle legate al mondo del fantastico – siano diventate cultura pop è visto come una “vittoria”, ovvero come lo sdoganamento definitivo di una sottocultura che è diventata di tutti. I nerd non sono più gli strambi sfigati isolati ed emarginati, col conseguente fiorire di realtà che hanno accontentato la richiesta dei palati nerd.

Sebbene il contenuto dell’articolo sia in larga parte condivisibile, ritengo opportuno fare qualche piccolo distinguo. Soprattutto, mi preme riflette sul termine “vittoria”: quello che viene detto è tutto giusto, ma si può davvero parlare di vittoria? È giusto parlarne in toni tanto trionfali?

È giusto dire che i nerd hanno vinto?

Ricominciamo e vediamo passo passo la vicenda. È vero: probabilmente viviamo nell’epoca d’oro del fantastico, ed è probabilmente altrettanto vero che questa generazione sta crescendo con una disponibilità di questi materiali e risorse che in precedenza era impensabile. È vero che negli anni ’80, che sono diventati il decennio mitico della cultura nerd, ipotizzare una saga fantasy come Harry Potter o pensare ad uno show televisivo come Il Trono di Spade era pura utopia.

Per chi non lo conoscesse, questo è Alf

Pertanto la critica basata solo ed esclusivamente su un fattore generazionale – del tipo “Noi siamo cresciuti con Alf e quindi i veri nerd siamo noi” – è sterile e puerile. È la critica di anziani che maledicono il progresso e rimpiangono i tempi in cui “qui era tutta campagna”. È un’argomentazione che non si basa su contenuti veri, quindi di fatto non ha senso di esistere. Cercare di assegnare “patenti nerd” in base a questi criteri è semplicemente stupido, anche perché le serie e i romanzi che hanno cresciuto la generazione dei nerd che si ritengono puri sono materiale tranquillamente a disposizione dei nuovi arrivati. Se il problema è non aver visto la serie classica di Star Trek… be’, questo è un finto problema: il “fantastico” c’era allora e c’è oggi.

Ma qui abbiamo la prima domanda: è tutto questo la cultura nerd, il fantastico? Be’… no. Certo ne era e ne è una parte fondamentale, forse dominante, ma non era tutto. I nerd erano davvero i secchioni sfigati, che vi piaccia o no. E questo ha delle ripercussioni sulla socialità del gruppo: i nerd si appassionavano a cose che gli altri non capivano perché, lapalissianamente, nelle cose che piacevano a tutti non erano bravi o non erano invitati. La cultura nerd è nata essendo una cultura di nicchia, di risposta a quella dominante, e questo va tenuto in conto. Un po’ come il punk: quando è esploso in fenomeni di largo consenso con gruppi musicali alla The Clash o Sex Pistols che lo hanno sdoganato, ha perso un po’ il suo senso, e dopo alcuni anni è ritornato ad essere di nicchia.

Stiamo forse dicendo che questo sta accadendo alla cultura nerd? Buon Dio, speriamo di no! Per quanto ci riguarda, noi siamo nerd, continueremo ad esserlo comunque. Lo eravamo prima quando ci nascondevamo negli scantinati a giocare a D&D, continueremo ad esserlo quando in quegli scantinati ci torneremo a giocare. Quello che è successo alla cultura nerd in questi anni è un’esplosione sociale, una vera e propria massificazione. Ma la massificazione di un fenomeno rappresenta la sua vittoria?

La massificazione vuol dire che i nerd hanno vinto?

Essere fenomeno di massa vuol dire che i nerd hanno vinto? In realtà, no. Non rappresenta neanche una sconfitta, per essere chiari. Una massificazione è una massificazione, stop. Senza colori trionfali o pessimistici. Perché la massificazione si porta appresso aspetti positivi e negativi. Basti pensare alla massificazione dell’informatica, sulla cui onda credo sia arrivata anche quella dei nerd: è decisamente comodo avere il mondo in tasca grazie al proprio smartphone, ma questo ha delle ripercussioni in materia di privacy e sicurezza dei propri dati. Non è tutto rose e fiori.

La stessa cosa ritengo sia accaduta al mondo nerd, come già accennavamo non molto tempo fa in questo articolo, ma forse adesso è più evidente una aggravante: contrariamente all’informatica, la cui diffusione di massa è stata inesorabile ma lenta a partire dagli anni ’80, la “nerditurdine” è esplosa nel giro di pochi anni, forse anche meno di un decennio. Un fenomeno può diventare di massa in questo modo solo se si “diluisce”, se riesce ad allargarsi – a volte anche a fare compromessi – fino ad includere platee che di quel fenomeno fino al giorno prima non ne erano nemmeno a conoscenza. Un fenomeno è di massa quando, appunto, abbraccia le masse o dalle masse viene abbracciato. Ma quando la cosa avviene in così breve tempo, vuol dire che a scendere a patti è stato il fenomeno, non la massa: le masse cambiano nell’arco di generazioni, non di pochi anni. Questo significa che gli interessi nerd hanno preso piede sfruttando fenomeni di massa già esistenti, aderendo ad essi e fondendosi con loro. Mi spiego meglio.

Pensate al cosplay: una volta era una cosa da pochi, che produceva risultati magari non perfetti, ma aveva un carattere di artigianalità (perché il costume lo facevi da solo) e soprattutto di interpretazione (non ti vestivi soltanto da quel personaggio, lo interpretavi). Nel processo di massificazione, il cosplay è esploso appoggiandosi a tradizioni preesistenti e già in voga, come Halloween e Carnevale: il fattore interpretativo praticamente è andato a farsi benedire, basta indossare una maschera e un costume – che devono essere perfetti, altrimenti che l’hai fatto a fare – e vai in giro a dire che sei in cosplay. Caso eclatante è quello di Roberta Gemma, famosa pornostar, che ha girato tranquillamente per Lucca e praticamente tutti l’hanno creduta una cosplayer. Roba da Carnevale di Venezia: hai una maschera? Allora va bene, ok.

“Cosplay” di Pikachu

Piccola nota aggiuntiva sull’estetica: proprio perché sfigati, i nerd non hanno mai puntato sulle apparenze. Oggi cosplayer costruiscono carriere nella moda grazie a costumi che poco c’entrano coi personaggi “interpretati” ma dato che sono scollati nei punti giusti diventano fenomeni. Il cosplay odierno si è costruito su una cultura dell’apparenza tipica della nostra società di massa, un elemento che ai nerd era assolutamente sconosciuto, anzi forse proprio ripudiato, prima di ora.

Capite il punto? La massificazione trasforma i movimenti, e questo ha lati positivi e negativi. È certamente positivo avere a disposizione tanti film e serie tv che incontrano i nostri gusti, è bellissimo potersi ritrovare con appassionati come te senza passare per pazzo, ma a questo corrisponde una diluizione di alcuni fattori che di fatto hanno reso la parola “nerd” un’etichetta completamente diversa da ciò che identificava prima. I nerd erano sfigati, ora sono pop. È evidente che qualcosa è cambiato, anche nell’uso della parola – anche se non siamo stupidi pensando che questa sia l’unica differenza, o che peggio ancora sia una cosa da rimpiangere. Ma di certo è la differenza più grande che mette meglio in mostra il cambiamento.

E poi, la triste nota finale: “fenomeno di massa” si può leggere anche con un’altra parola, “moda”. Nerd è diventato di moda, anzi, è diventato una moda. Come lo sono stati i punk e i metallari prima di questo. E come tutte le mode, è passeggera: quando i film sui supereroi stancheranno il pubblico, quando ci saranno comics e fiere del fumetto in ogni dove fino a portarci alla nausea, esploderà un nuovo fenomeno passeggero che ci farà dimenticare di essere stati nerd.

Per questo torniamo a chiederci: è giusto dire che i nerd hanno vinto? Probabilmente no: ci godiamo il momento, non certo siamo ipocriti, ma siamo comunque realistici. La massa è volubile e può tornare a dimenticarsi dei nerd dall’oggi al domani: che vittoria rischia di essere questa? Una fulgente ma sterile vittoria di Pirro.

Mario Iaquinta

Nato da sua madre “dritto pe’ dritto” circa un quarto di secolo fa, passa i suoi anni a maledire il comunissimo nome che ha ricevuto in dote. Tuttavia, ringrazia il cielo di non avere Rossi come cognome, altrimenti la sua firma apparirebbe in ogni pubblicità dell’8×1000. Dopo questa epifania impara a leggere e scrivere e con queste attività riempie i suoi giorni, legge cose serie ma scrive fesserie: le sue storie e i suoi articoli sono la migliore dimostrazione di ciò. In tutto questo trova anche il tempo di parlare al microfono di una web-radio per potersi spacciare per persona intelligente senza però far vedere la sua faccia. Il soprannome “Gomez” è il regalo di un amico, nomignolo nato il giorno in cui decise di farsi crescere dei ridicoli baffetti. Ridicoli, certo, ma anche tremendamente sexy, if you know what I mean…
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