L'Editoriale

POW3R ricattato: campagna #FIXWARZONEita subito virale, emerge la “cultura giudicante” (RIFLESSIONE)

E’ da qualche giorno, ormai, che nella community italiana di Call of Duty Warzone non si fa che parlarne. Per chi si fosse pers* la vicenda, basti conoscere una breve sintesi dell’accaduto che è la seguente: POW3R, al secolo Giorgio Calandrelli, il famoso streamer italiano, nonché campione di diverse “discipline videoludiche”, è stato letteralmente ricattato da una compagnia di stream sniper che lo invitava a dimostrare di non essere un cheater.

Noi smettiamo di sniperare le tue sessioni di gioco in live se tu punti una webcam sul monitor“, questo il succo vessatorio della richiesta, voluta per confermare o smentire il presunto utilizzo di “cheats” da parte del gamer.

Ma facciamo chiarezza a riguardo; lo sniping non è un sinonimo di cheating in senso stretto, tuttavia questa pratica è da ritenersi scorretta perché in molti casi (come in questo) ha lo scopo di rovinare l’esperienza dei giocatori in obiettivo. Solo in secondo luogo, qualora i cosiddetti sniper decidano di corredare il loro intervento con l’aiuto di “trucchi”, il fine dell’intento non può disporre di altre interpretazioni se non quella di danneggiare la sessione delle vittime.

Si, un po’ come i manifestanti nudi che si scagliano in campo aperto, durante qualche importante partita di calcio – con la differenza che questi, che si sappia, non hanno mai rivendicato alcunché ai calciatori presenti, figurarsi il presunto utilizzo di sostanze dopanti.

Qualora abbiate ancora qualche dubbio a riguardo della terminologia, vi invito a leggere l’articolo di Jake in cui spiega accuratamente cosa sia il fenomeno dello stream sniping.

Insomma, questo gruppo di individui sta letteralmente perseguitando POW3R, palesandosi in gioco e lasciando di volta in volta messaggi. “Solo io posso spiegarti tutto“, esprime uno degli sniper e poco dopo, viene cortesemente invitato dallo streamer a intavolare una conversazione che si chiude con un arcano, drammatico se vogliamo, “ho detto troppo“. Sceneggiatura che documentari di pseudo-scienza, levatevi proprio. Poco dopo, si tengono altri incontri e la vicenda si sviluppa ulteriormente. Alcuni di loro sostengono che la prova tenuta dal malcapitato, il giorno precedente, ovvero giocare una partita con una webcam puntata sul monitor, non fosse sufficiente a dimostrare la sua innocenza.

Insomma, c’è dell’incredibile in questa storia e appurato che qualcuno stia utilizzando il suo tempo, che sia prezioso o meno lo lasciamo decidere a voi lettori, per smascherare la presunta scorrettezza di un giocatore di Call of Duty Warzone, porta a galla una riflessione meno laterale di quello che sembra: la propensione di questi gamer a inquisire, ad accusare i più bravi.

Si, perché POW3R non è solo un appassionato di videogiochi, bensì vive di videogiochi, lavora (anche) con la sua attività di intrattenimento online. In effetti, se proprio di qualcosa vogliamo criticarlo, potremmo biasimare la scelta di far comparire “i fratelli”, così soprannominati dalla star dei Fnatic, in un suo contenuto, attribuendogli una delle poche cose che li accumuna con i già citati “nudi da stadio”: 5 minuti di celebrità (il video nel paragrafo sottostante esplica meglio la vicenda).

POW3R vittima della cultura giudicante, siamo alle solite

Come è possibile osservare, i personaggi sotto ai riflettori sono diversi ma partecipano tutti in un’armonia di incoerenza generale. Quello primario, infatti, è senza orma di dubbio Activision, la quale preferisce chiudere un occhio (e anche un altro) sulla richiesta dei gamer di provvedere a un sistema di anti-cheat o comunque, provvedere affinché non succedano episodi del genere. Non è un caso che l’hashtag #FIXWARZONEita stia spopolando anche all’estero, pur essendo nato una una vicenda individuale.

Secondario, ma non meno importante, è il fattore “giudicante” che da sempre affligge ambienti di confronto come in questo caso il gaming. Ebbene, abbiamo assistito a situazioni quasi medesime nella comunità cosplay, persino il mondo del cinema è vittima di etichette e movimenti contro ingiustizie assolutamente inattendibili.

Il problema qui, come in altri casi, è la cultura del pregiudizio ormai instauratasi a più strati di collettività, continua a infettare ogni settore proprio come un virus. Lo stream sniping è sicuramente il cugino brutto delle possibilità e dell’evoluzione della nostra tecnologia ma non è tutto.

E’ bello che un mondo come quello dei videogiochi si stia diffondendo a macchia d’olio, ma il fatto che sempre più spesso venga avvelenato da questi behaviour, dovrebbe spingerci a interrogarci sulle motivazioni dietro il distorto utilizzo degli strumenti a disposizione. Dimostrare che un giocatore più bravo di noi sia un cheater (ammesso che lo sia e non è di certo questo il caso), non ci trasformerà comunque in essere umani migliori. Parafrasando una parola utilizzata da uno dei “fratelli”, essere colti vuol dire conoscere i propri limiti e dovrebbe sempre di più tradursi nella cura della collettività, uno degli obiettivi più nobili dello sport (in questo caso, l’esport). Non nascondersi dietro sotterfugi da thriller di spionaggio.

Sarebbe bello vivere le proprie passioni all’interno di community in cui la presenza di caratteristiche o granulari differenze, non sia indice di invidia o di ammirazione o qualcosa di propedeutico all’essere accettati da altri individui. Piuttosto lo siano la gentilezza, l’educazione e il rispetto.

Sono i pensieri dentro alla testa di chi vi partecipa (alla tecnologia) a tramutarsi in azioni spesso al limite del ridicolo. E ricordando a questa banda di buontemponi che si tratta ancora di un gioco, li invitiamo a godersi il bello che c’è in un hobby, senza lanciarsi in movimenti online pseudo-rivoluzionari che probabilmente, continuerebbero a lasciare il mondo immutato, con i suoi difetti.

Dave

Atipico consumatore di cinema commerciale, adora tutto quello che odora di pop-corn appena saltati e provoca ardore emotivo. Ha pianto durante il finale di Endgame e riso per quello di Titanic. Sostiene di non aver bisogno di uno psichiatra, sua madre lo ha fatto controllare.
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