L'Editoriale

The Mandalorian fa la storia: Star Wars sempre più transmediale

La seconda stagione di The Mandalorian, iniziata venerdì scorso con il nono episodio intitolato Lo Sceriffo, ha acceso l’entusiasmo dei fan di tutto il mondo, soprattutto grazie all’apparizione di Temuera Morrison nei panni di Boba Fett. Un ritorno a lungo atteso e vociferato, che tuttavia ha leggermente oscurato la grande novità introdotta dalla puntata e frutto di una coraggiosa scelta narrativa operata da Jon Favreau e dal suo team: quella di inserire un collegamento diretto ai romanzi della trilogia di Aftermath di Chuck Wendig.

Lo sceriffo del titolo, infatti, nient’altri è che Cobb Vanth, personaggio nato proprio dalla penna di Wendig e protagonista di due brevi capitoli di intermezzo nel primo e nel secondo libro, ambientati subito dopo Il Ritorno dello Jedi. Interpretato da Timothy Olyphant, Vanth è di fatto il primo personaggio letterario nella storia di Star Wars a venire trasposto in live-action. Per comprendere appieno la portata di questo avvenimento, bisogna fare un passo indietro.

sguscio
Il Mandaloriano e Cobb Vanth fianco a fianco sui loro speeder, in una scena del nono episodio della serie. Una curiosità: il mezzo dello Sceriffo sembra ricavato da un motore dello sguscio pilotato da Anakin Skywalker ne La Minaccia Fantasma.

La narrazione transmediale: storia e significato

Si sente spesso parlare di narrazione crossmediale, espressione che indica il retelling di una stessa storia attraverso diversi media, qualcosa che fa parte della cultura occidentale fin dai tempi dell’Antica Grecia, in cui i miti venivano raccontati per mezzo dell’epica, della lirica e del dramma. Per narrazione transmediale, invece, si intende la frammentazione di una vicenda attraverso vari canali mediatici, decine o addirittura centinaia di tasselli che alla fine restituiscano un mosaico coerente e unificato.

Quello di raccontare una storia coesa attraverso diversi media è un sogno inseguito da molte produzioni durante gli ultimi anni. Basti pensare a Star Trek, che alla serie televisiva originale ha fatto seguire svariate serie e film spin-off. Lo stesso Star Wars fu accompagnato, fin dagli anni ’80, da una lunga lista di storie di contorno, narrate attraverso fumetti, romanzi e, successivamente, videogiochi. Si tratta del cosiddetto Universo Espanso, che tuttavia presentava numerose contraddizioni e che lo stesso George Lucas riteneva una sorta di “realtà parallela” rispetto ai film. Questo non gli ha impedito di attingervi a piene mani, quando ha creato la trilogia prequel alla fine degli anni ’90, ma si è sempre trattato di singoli elementi estrapolati e inseriti nella sua storia, completamente disconnessi dalle vicende raccontate dagli autori dell’EU.

Un esempio più recente, che vale la pena citare, è quello del Marvel Cinematic Universe. Partendo da un retelling cinematografico dei fumetti, il team di Kevin Feige è passato poi alla televisione e a una serie di corti rilasciati sul web, in uno sforzo piuttosto ammirevole di creare un universo coerente tra film e serie. Un tentativo, tuttavia, che col passare degli anni ha mostrato tutti i suoi limiti, con un moltiplicarsi delle incongruenze tra i prodotti televisivi, come Agents of Shield e i Defenders, e la saga cinematografica principale.

In Giappone, un interessante esperimento di vera transmedialità è stato fatto dalla Bandai Namco nel 2005 con la saga di .hack (pronunciato “dot hack”). Il progetto nacque fin da subito come una storia raccontata in vari spezzoni, rilasciati quasi in contemporanea: un videogioco per Play Station 2 diviso in quattro capitoli, una serie animata prequel, due OAV animati e un manga, perfettamente intrecciati fra loro. Inizialmente, l’accoglienza di pubblico e critica fu sufficientemente calorosa da giustificare la produzione di un nuovo troncone di storie, conclusosi nel 2012 con il gioco .hack//Versus e il film ad esso associato.

hack anime
Il cast di personaggi di .hack//SIGN, l’anime che fa da prequel alla serie di giochi della Bandai.

In occidente, bisognerà aspettare il 2014 per vedere un progetto transmediale davvero ambizioso.

Il “Canone Disney”: ogni storia ha la stessa importanza

Quando la Disney acquisì la Lucasfilm, una delle prime decisioni prese da Kathleen Kennedy e dai vertici della compagnia fu quella di fare tabula rasa dell’Universo Espanso. Il canone di Star Wars venne azzerato, ridotto alla sola esalogia cinematografica e alla serie animata The Clone Wars, mentre tre decadi di romanzi, fumetti e videogiochi venivano relegati a poco più che fan fiction ufficiali, raccolte sotto l’etichetta “Legends“.

Nonostante le vibranti proteste di una larga fetta di fandom, il progetto di Lucasfilm era estremamente ambizioso: creare un nuovo universo narrativo che, partendo dall’opera originale di Lucas e dalla nuova trilogia sequel allora ancora in pre-produzione, si allargasse in un’imponente narrazione transmediale. Per fare questo, venne formato lo Story Group, un team di esperti a cui venne affidato il delicato compito di controllare che il neonato canone di Star Wars fosse privo di contraddizioni narrative e, allo stesso tempo, fare da punto di riferimento per tutti gli autori chiamati a scrivere nuove storie.

Il principio di fondo alla base dell’intera operazione era semplice: ogni storia ha la stessa importanza, a prescindere da come viene raccontata.

Il problema della trilogia sequel

Più facile a dirsi che a farsi. Per ammirevoli che fossero le intenzioni, è difficile immaginare che i vertici di Lucasfilm si rendessero conto di tutte le implicazioni di una simile affermazione. I primi nodi sono venuti al pettine dopo la trionfale cavalcata al botteghino de Il Risveglio della Forza. Durante la produzione degli Episodi VIII e IX è diventato sempre più evidente come, a dispetto delle dichiarazioni, erano i film della trilogia sequel ad avere l’assoluta priorità all’interno dell’universo narrativo. E lo Story Group è stato costretto ad arrancare per far quadrare ogni singola scelta operata dagli sceneggiatori, a volte senza nemmeno venire consultato, lavorando alacremente assieme agli autori di romanzi, fumetti e videogiochi, per creare un collegamento dietro l’altro e dare più coerenza possibile alla storia che andava allargandosi a macchia d’olio.

Eppure, già prima dell’uscita al cinema de L’Ascesa di Skywalker, qualcosa aveva iniziato a cambiare. Pensiamo a Solo: A Star Wars Story, lo sfortunato spin-off di Ron Howard sul mitico contrabbandiere della trilogia originale, che aveva avuto il coraggio di far tornare Maul sul grande schermo. La sopravvivenza del malvagio apprendista Sith dell’Episodio I, infatti, era stata raccontata solamente nelle serie animate, cosa che ha creato un po’ di confusione negli spettatori più generalisti. Il centro di questo cambiamento, tuttavia, è senz’altro The Mandalorian. La produzione della prima serie live-action di Star Wars è stata affidata alle sapienti mani di Jon Favreau ma, soprattutto, a quelle di Dave Filoni, co-creatore di The Clone Wars e già showrunner di Rebels, considerato da molti l’erede spirituale dello stesso George Lucas. Nella prima stagione, nonostante la trama semplice e alcuni passaggi un po’ deboli, è emersa subito una volontà di collegarsi all’universo canonico già esistente, con richiami alle serie animate, ma anche allo stesso Episodio IX, uscito quasi in contemporanea.

il bambino baby yoda
Il bambino utilizza la Forza per guarire le ferite di Greef Karga. Lo stesso potere viene impiegato da Rey in L’Ascesa di Skywalker per salvare Ben Solo da morte certa.

Con l’inserimento di Cobb Vanth nel pilota della seconda stagione, questa volontà è diventata palese. La trilogia sequel ha svolto il suo compito: resuscitare Star Wars e contribuire alla creazione di una nuova mitologia. E ora, il vuoto lasciato dalla conclusione della Saga degli Skywalkwer spiana di fatto la strada alla realizzazione di quella transmedialità auspicata nel 2014, in cui nessuna storia avrà un rango superiore alle altre.

Disney+ e l’Alta Repubblica: il futuro di Star Wars

Un ruolo fondamentale in questa nuova era lo giocherà senz’altro Disney+, per cui sono state già annunciate due nuove mini-serie spin-off, in uscita nei prossimi mesi: quella su Obi-Wan Kenobi, che vedrà il ritorno di Ewan McGregor nei panni dell’amato Maestro Jedi in esilio su Tatooine, e un’altra sul passato di Cassian Andor e K2-SO, il duo di spie ribelli già visto in azione in Rogue One. Voci insistenti parlano, però, di numerosi altri progetti in cantiere, compresa una serie tutta al femminile su Bo Katan e Cara Dune, una su Boba Fett e, soprattutto, quella sull’ex-padawan di Anakin Skywalker, Ahsoka Tano, la cui prima apparizione in live-action è attesa proprio in The Mandalorian, col volto di Rosario Dawson.

rosario dawson ahsoka tano
Rosario Dawson potrebbe interpretare Ahsoka Tano in uno dei prossimi episodi di The Mandalorian. Voci su un suo coinvolgimento nella produzione girano già da parecchio.

A fianco delle serie, sarà centrale il progetto tutto cartaceo (per ora), dell’Alta Repubblica, in arrivo anche in Italia nella primavera del 2021. Pubblicato interamente da Panini, comprenderà sia romanzi che fumetti e sarà ambientato 200 anni prima de La Minaccia Fantasma. Questo, in attesa di conoscere il destino delle uscite cinematografiche già annunciate in passato, come la trilogia affidata a Rian Johnson, la cui produzione si è verosimilmente fermata a causa della pandemia.

La speranza è che i richiami e i collegami fra tutte queste opere si facciano via via più fitti, arrivando a formare quel mosaico in continua espansione che i fan sognano di ammirare fin dall’annuncio del nuovo canone nel 2014.

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