(DISCLAIMER: nonostante si parli di narrativa fantasy, l’articolo contiene spoiler sull’ultima stagione del Trono di Spade, invitiamo quindi i lettori a fermarsi nella lettura se non hanno ancora preso visione dell’ottava stagione. In caso contrario: buona lettura!)
Negli ultimi giorni e nelle ultime ore mi sono imbattuto in discussioni riguardanti il trend topic del momento: Game of Thrones.
L’episodio 8×03, intitolato “The Long Night” (La Lunga Notte) ha suscitato (come ogni evento che si rispetti) una sequela infinita di discussioni riguardanti:
- Il buio delle sequenze;
- La strategia bellica della battaglia;
- La morte del Night King.
Anche nella nostra redazione ne abbiamo parlato e seguendo topic scritti sulla pagina Facebook di Roberto Recchioni (che vi invito a seguire) ho trovato uno spunto di riflessione a riguardo.
La Logica nella Narrativa Fantasy
Premesso che stiamo parlando dell’episodio migliore di sempre su piccolo schermo, nell’era di internet, i contenuti nerd sono sempre più oggetto di discussione, analisi, snocciolamento sequenza dopo sequenza. Un lavoro certosino da parte degli appassionati che cercano di carpire, comprendere, decifrare, ogni singola scena ed ogni singolo significato. E come tutte le abitudini, sfugge di mano sino ad immolarsi in spiegazioni e teorie strampalate. Anche dove logica, senso e significato non c’è.
Si lo so, anch’io mi sono addentrato in questo mondo, chi l’ha letta si ricorda della mia teoria sul Night King. Ma chiaramente li si navigava in un contesto teorico, volutamente fantasioso per concedere hype all’attesa di questa ottava stagione che alla fine, ovviamente, ci ha regalato tutt’altro epilogo (almeno per quanto riguarda gli Estranei).
Ma in certi lidi, le discussioni raggiungono livelli che snaturano il genere su cui si basa Game of Thrones. O la narrativa fantasy in generale.
Questo perché, se decenni addietro la critica, l’analisi o anche solo il giudizio su una pellicola erano perlopiù colloquiali e quindi si prediligeva lo scambio di idee sotto forma di opinioni verbali, oggi il pubblico nell’era di internet è divenuto più didascalico ed esige sempre più una spiegazione razionale per tutto. Anche quando non è necessaria.
Io stesso ho cercato spiegazioni su tante sceneggiature negli anni, su tanti film o serie tv a cui mi sono appassionato ed il più delle volte ne sono rimasto deluso. Questo perché, e l’ho capito ultimamente, ho sempre avuto un approccio sbagliato verso la narrativa fantasy.
Voler imporre realtà e pragmatismo in un contesto fantasy o in generale, è obiettivamente un errato modo di interpretare un modello d’intrattenimento che storicamente ha sempre avuto distanza dal reale o ne ha sempre mescolato i concetti.
Oggi ci meravigliamo degli errori nelle strategie militari della battaglia di Winterfell, come se fossimo generali o esperti di war-games, solo perché magari abbiamo letto il pezzo di Movieplayer che ho riportato poco sopra, quando in realtà diverse testate specializzate si sono espresse promuovendo o bocciando la strategia con la penna di professori e generali dell’esercito degli Stati Uniti, dandoci la possibilità di tirare una o più conclusioni maggiormente equidistanti tra realtà e narrativa fantasy grazie ad un parere esperto, non sostenuto dalla sola libertà di pensiero, ma da un’espressione veicolata dalla cognizione di causa. Perché in fondo la verità sta nel mezzo (spesso nel mezzo di un libro).
Parliamoci chiaro, non possiamo in nessun modo cercare plausibilità in ogni scena fantasy. E’ impossibile. Com’è impossibile per chi scrive un’opera o una sceneggiatura. Bisogna trovare un equilibrio e deve trovarlo anche il pubblico, che deve imparare a godere dell’intrattenimento di un’opera anziché essere continuamente rassicurata dalla sua coerenza narrativa.
E per farlo bisogna andare indietro nel tempo, guardarsi sempre nel passato.
Nel vivo della discussione
Possiamo stare a discutere per decenni sul perché una stazione spaziale come la Morte Nera – che dovrebbe essere inattaccabile – invece possa essere completamente distrutta con un solo colpo in un condotto perfettamente a tiro (come con un solo colpo è stato distrutto il Night King e tutto il suo esercito). In Rogue One viene data una spiegazione. Esaustiva? No? Resta un capolavoro Guerre Stellari.
Possiamo stare a discutere per secoli sul perché le grandi Aquile non abbiano portato l’Anello a Mordor e sganciarlo in un colpo solo nelle fiamme del Monte Fato come acqua da un canadair (come con un solo colpo è stato distrutto il Night King e tutto il suo esercito). Alle grandi Aquile non frega nulla degli umani? Hanno aiutato Gandalf solo perchè Gwaihir gli doveva un favore? Resta un capolavoro Il Signore degli Anelli.
Possiamo stare a discutere per millenni sul perchè Achille – noto per la sua invulnerabilità – non abbia mai in alcun modo protetto il suo punto debole, il tallone, ed anzi era l’unica parte non coperta dall’armatura che colpendola lo uccise (come con un solo colpo è stato distrutto il Night King e tutto il suo esercito). Difetti stilistici? Grande mira di Paride? Resta un capolavoro l’Achilleide.
Il punto è che storicamente la narrativa reale o narrativa fantasy che sia è sempre stata piena di lacune o di elementi inverosimili. Questo perché tale espediente ne è complemento e fa parte delle trascrizioni artistiche nel metodo classico da sempre.
Di cosa stiamo parlando? della “Sospensione dell’incredulità”.
Di cosa si tratta? Di un carattere semiotico, o anche in maniera più pratica, di un patto tra lettore e scrittore, in cui il primo si impegna a non dare ascolto e quindi a metter da parte il proprio senso critico e la propria ragione e ad accettare come “vero” quanto lo scrittore gli sta raccontando, pur sapendo in cuor suo che di finzione si tratta (fonte: scritturacreativa.org). In questo modo il lettore, accettando tale patto, pone la sua fiducia sullo scrittore in modo da entrare nel vivo della storia in tutto e per tutto.
L’espressione fu coniata da Samuel Taylor Coleridge nel 1817:
«[…] venne accettato, che i miei sforzi dovevano indirizzarsi a persone e personaggi sovrannaturali, o anche romanzati, e a trasferire dalla nostra intima natura un interesse umano e una parvenza di verità sufficiente a procurare per queste ombre dell’immaginazione quella volontaria sospensione del dubbio momentanea, che costituisce la fede poetica.»
Concetto già conosciuto da Shakespeare che duecento anni prima lo accenna nell’Enrico V:
«Sarà così la vostra fantasia
a vestire di sfarzo i nostri re,
a menarli dall’uno all’altro luogo,
saltellando sul tempo,
e riducendo a un volger di clessidra
gli eventi occorsi lungo diversi anni;»
Componente essenziale del teatro, della lirica e del musical, è anche fondamentale per la narrativa fantasy e di fantascienza, che è il nostro caso, in cui concetto di sense of wonder è ancora più articolato ma ulteriore utile dettame per l’approccio a tali genere. Tale approccio ci consente di accettare universi interi che non rispondono ai nostri principi di scienza e logica.
Questo non vuol dire che dobbiamo di fatto sospendere il nostro buon senso, ma di adattarlo a seconda dell’opera di cui stiamo fruendo. Senza ovviamente abusarne per non creare delle formazioni che rendono l’opera ridicola.
Tale carattere è stato oltremodo utilizzato da J. R. R. Tolkien a tal punto da teorizzare (e poi mettere in atto nella sua opera principale) il concetto di sub-creazione: “dando vita ad un mondo diverso dal nostro, la cui alterità lo rende impossibile da incastrare nelle nostre coordinate politiche-religiose-eccetera. Non si possono applicare automaticamente i nostri concetti di destra e sinistra alla Terra di Mezzo, e neppure – addirittura – i nostri concetti morali e teologici. La storia non è un mezzo per predicare un messaggio: la storia è il messaggio. È un tutt’uno, un corpo vivo che non può essere sezionato con i bisturi dell’allegoria.”
Insomma, letteralmente (e narrativamente) il must della narrativa fantasy ci ha disposto il potere di cambiare prospettiva nella lettura e nell’intrattenimento generale, senza regole (e già questo basterebbe) ma in ogni caso sta a noi saper dare equilibrio nella scrittura e nella lettura, nella sceneggiatura e nella visione, a tali elementi, senza dover necessariamente estremizzare i due processi. La storia insegna, la storia sentenzia.