L’esperimento del cane di Pavlov è comunemente ricordato per la sua semplicità e per il concetto di condizionamento classico. Tuttavia, dietro la narrazione canonica si nascondono dettagli più inquietanti e complessi. La verità rivela come la realtà delle sue ricerche fosse ben lontana dall’immagine popolare del cane che salivava al suono di una campanella.
Ivan Pavlov, noto per i suoi studi sul condizionamento classico, ha condotto esperimenti sui cani che vanno ben oltre la semplice associazione tra un suono e la salivazione. Le sue ricerche, inizialmente incentrate sugli effetti dell’alimentazione sulle secrezioni pancreatiche, gastriche e salivari, adottavano metodi molto più invasivi e controversi di quanto comunemente si creda.
Pavlov rimuoveva l’esofago dei suoi cani da laboratorio, creando un’apertura nella loro gola. Questa pratica crudele faceva sì che il cibo consumato dai cani cadesse attraverso questa apertura, senza raggiungere lo stomaco. Per raccogliere e studiare i succhi gastrici, Pavlov creava dei buchi lungo il sistema digestivo dei cani, collegandoli a tubi per la raccolta.
Ma la cosa davvero assurda è che Pavlov utilizzava anche i succhi gastrici raccolti come presunta cura per l’indigestione, vendendoli in Russia, Francia e Germania. Per massimizzare la produzione, allestì una sorta di “fabbrica di succo gastrico”, dove cinque grandi cani erano attaccati a una trave e collegati a contenitori tramite tubi provenienti dai buchi di cui sopra. I cani venivano alimentati direttamente nello stomaco per mantenerli in vita, nonostante le condizioni deplorevoli.
La durata della vita dei cani sotto queste condizioni era notevolmente ridotta. Pavlov stesso annotò la morte di un cane (a detta sua particolarmente resistente) dieci giorni dopo l’operazione, attribuendola a inedia prolungata e a una serie di ferite.
Durante questi esperimenti, Pavlov osservò che i cani iniziavano a salivare non solo alla vista del cibo, ma anche alla vista del camice bianco del suo assistente, associandolo all’arrivo del cibo. Contrariamente alla credenza popolare, Pavlov non usava una campanella, ma piuttosto un metronomo, che attivava poco prima di “alimentare” i cani. I cani iniziarono a associare il suono del metronomo con il cibo, iniziando a salivare anche in assenza di cibo, un fenomeno che Pavlov definì “riflesso condizionato“.
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