La Sequenza di Fibonacci è uno degli argomenti più affascinanti e fraintesi della matematica. Sebbene venga spesso associata a fenomeni naturali, opere d’arte e antiche meraviglie architettoniche, la sua storia è molto più umile di quanto si pensi. Così come succede con il Teorema di Pitagora, difficile che si conoscano le vere origini di questa sequenza numerica, la sua connessione con il misterioso numero aureo e perché molte delle credenze popolari su di essa sono più miti che realtà.
Non tutto ciò che brilla è Fibonacci
Iniziamo con il dire cosa è: la Sequenza di Fibonacci è un elenco di numeri in cui ogni cifra è la somma delle due precedenti. Partendo da 0 e 1, i primi dieci numeri sono: 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21 e 34. Questo schema matematico è semplice ma estremamente affascinante, tanto da diventare sinonimo di ordine e bellezza in natura e arte.
Ma attenzione: molte di queste associazioni sono basate su leggende e interpretazioni errate.
Cominciamo dalla storia. La sequenza non è stata inventata da Leonardo Fibonacci, conosciuto anche come Leonardo di Pisa. In realtà, questo matematico italiano, vissuto intorno al 1170, non ha mai usato il nome “Fibonacci” (un soprannome nato solo nel XIX secolo per distinguerlo da un altro Leonardo famoso). La sequenza era già nota secoli prima, menzionata in testi sanscriti risalenti al 200 a.C., grazie al sistema numerico indù-arabo.
Nel 1202, Leonardo di Pisa pubblicò un libro rivoluzionario, il Liber Abaci. Questo manuale era una guida pratica per commercianti, spiegando come utilizzare la numerazione indù-araba per gestire profitti, perdite e calcoli commerciali.
Tra i tanti problemi presenti nel libro, uno riguardava la riproduzione dei conigli. L’idea era semplice: quanti conigli avresti dopo un anno, iniziando con una coppia? La risposta (144) si ottiene utilizzando la “leggendaria” sequenza che oggi tutti conosciamo.
Tuttavia, sorprendentemente, Leonardo non menzionò mai più questa sequenza. Fu dimenticata fino al XIX secolo, quando matematici come Édouard Lucas ne riscoprirono le proprietà e le diedero il nome che oggi conosciamo.
La sequenza in natura e in architettura: quanto c’è di vero?
Molte strutture naturali mostrano schemi che ricordano la sequenza di Fibonacci, ma non sono regole universali. Ad esempio, alcune piante dispongono le foglie o i petali secondo il cosiddetto numero aureo (phi), una costante matematica strettamente legata alla sequenza. Pinecones e girasoli mostrano spirali dorate ade esempio.
Il caso del famoso nautilus è emblematico. Contrariamente alla credenza popolare, il guscio di questa creatura non cresce seguendo la sequenza di Fibonacci, nonostante venga spesso utilizzato come esempio nei libri di testo.
Il guscio del nautilus cresce secondo una spirale logaritmica, che è un modello matematico di crescita in cui ogni nuova parte del guscio è proporzionale alle parti precedenti. Tuttavia, questa crescita non è vincolata alla sequenza in questione né tantomeno al numero aureo. La somiglianza visiva inganna.
Inoltre, l’idea che la natura segua regole matematiche perfette è molto attraente, e il guscio è diventato un simbolo iconico di questa convinzione. È una sorta di “bias culturale”: ci piace pensare che la bellezza naturale si basi su regole matematiche precise, anche quando non è così.
Passando a cose “meno naturali”, le associazioni tra la sequenza di Fibonacci, il numero aureo e l’arte o l’architettura sono spesso esagerate. Opere come la Piramide di Giza, il Partenone e persino il l’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci vengono frequentemente citate come esempi di design basati su queste proporzioni. Ma, quando analizzate scientificamente, queste affermazioni si rivelano infondate.
Gran parte della disinformazione nasce dal lavoro di Adolf Zeising, un teorico tedesco dell’Ottocento che propose l’idea che il corpo umano e molte opere d’arte fossero modellati secondo il numero aureo. Le sue idee, anche se affascinanti, hanno influenzato generazioni di autori e contribuito a creare un mito.
Ma una risposta arriva prontamente da George Markowsky, matematico dell’Università del Maine, che dice che la maggior parte di queste teorie sono il risultato di “wishful thinking”: siamo bravi a vedere schemi, anche dove non esistono (qui qualche informazione: https://patterns.architexturez.net/doc/az-cf-172604)