Breaking Bad ha certificato che non riesco a guardare le serie TV

Nonostante premesse accattivanti (e la promessa di guardarlo per intero), mi sono fermato all'episodio pilota. E al massimo vedo un episodio di Black Mirror ogni 3 mesi

Oggi non parlerò solo di Breaking Bad, ma lo userò in modo spudorato per portare avanti la mia argomentazione: pareri del tutto personali, ovviamente, e che spero si capisco espongo più per spirito pioneristico che per essere preso sul serio*. Sono uscite decine, centinaia, forse migliaia di serie diverse, e Breaking bad è una delle più amate, oltre ad essere andata molto di moda anni fa, e secondo me (a prescindere da tutto) rimane una delle serie con una delle idee più rivoluzionarie mai sentite. Tanto che sono usciti articoli di ogni genere su quella storia, incluse alcune meravigliose ricette.

Amate le serie TV? Io no, o meglio: da qualche anno, non più

Che cavolo stai dicendo, Willis?!

Andiamo per ordine. Dovrei stare qui a scoprire l’acqua calda e a raccontarvi che – Wikipedia, grazie – è una serie ideata da Vince Gilligan (che ha diretto anche due episodi di The X-Files) e che racconta la storia del professorone Walter White, affetto da un male incurabile, il quale decide di dare una svolta agli ultimi giorni della sua vita: produrre metanfetamine grazie alle sue conoscenza di chimica, in collaborazione con un suo studente che le spaccia. Fantastico, ho scoperto l’acqua calda – per me che di chimica so nulla, e che metto il sale nell’acqua della pasta prima di farla bollire per il gusto ineguagliabile di andare contro, è una cosa gradevole.

Mi butto a capofitto e lo scrivo senza filtro: le serie TV sono quasi tutte poco focalizzate, inutilmente prolisse e diluite in modo più disgustoso di un Negroni annacquato. Non sto trollando, lo giuro, e cercherò di spiegare questa argomentazione per filo e per segno, senza andare troppo per le lunghe.

Jasse e Walt
Jesse e Walt mentre pensano agli incassi del film di Breaking Bad

Per me l’esperienza con serie inizia anni fa, dopo averne parlato con un’amica, nei termini che riporto più o meno fedelmente qui.

“Mah, sai che ho un pessimo rapporto con le serie? Non riesco a guardarle.”

“Possibile? A me piacciono tanto! E come mai?”

“La mia ex mi obbligava a guardare Paso Adelante e a farle il riassunto di ogni puntata.”

“Bhe se ti piace il sadomaso potevate inventarvi qualcosa di più creativo.”

“Forse. Ma questo non cambia la sostanza: odio le serie. Il più delle volte è una storia che potevi riassumere facilmente in 45 minuti senza intaccarne l’efficacia, e che invece dura per 56 ore e mezza: anche no.”

“Dovresti vedere Breaking Bad.”

“L’ho già sentito. È quello del professore di chimica che inizia a farsi la droga in casa?”

“Esatto! Dai, guarda il pilota.”

“ok”

Qualche giorno dopo, più o meno, è successo questo.

“Bello il pilota, davvero. Ma per me finisce qui, eh”

“Ah, non sei curioso di sapere cosa succede a Walter…”

“NO”

“OK”

“Ci ho provato, giuro”

Questo episodio riassume molto in breve i difetti che secondo me le serie hanno, nella stragrande maggioranza dei casi ed anche nei casi (che dovrebbero piacermi) delle serie antologiche tipo Black Mirror. Che è nerd, che è hackerosa, che è tutto quello che vogliamo ma per cui non sono riuscito ad andare oltre la visione di un paio di episodi. Se parliamo di serie antologiche, del resto, c’è sempre il rischio che la qualità sia altalenante, sia perchè i registi cambiano sia perchè, alla fine, è raro che ci siano delle direttive uniformi a livello produttivo. Questo provoca un effetto rischiosissimo che è comune in molti corti antologici nell’horror, ad esempio. Per capirci è quello che succede in The ABCs of death, uno dei miei horror antologici preferiti che pero’ alterna piccoli capolavori (tra cui piccole perle in stop motion) a episodi insulsi che mio cuggino con 50 euro li faceva meglio.

Secondo punto: la serialità delle serie in generale (scusate il gioco di parole) è quasi sempre non necessaria. Sintesi, questa sconosciuta: è una delle doti dei grandi, secondo me, e senza per forza essere fan del minimalismo funzionale. L’impressione è che la produzione reputi un episodio degno di essere allungato esclusivamente in base agli ascolti, che è comprensibile e va benissimo ma rischia di far continuare all’infinito anche serie che, col tempo, si prenderanno la libertà di fare schifo perchè “si deve” e perchè i creativi sotto pressione lavorano male. Il che – anche qui il passato insegna – ha finito per uccidere brutalmente serie anni ’80 che ho amato da ragazzino. Ad esempio sapevate che Il mio amico Arnold venne soppressa nel 1986, dopo la puntata 19, senza mai aver avuto un finale? Ecco, benvenuti nei miei incubi: vedere qualcosa che potrebbe non finire mai, o potrebbe finire all’improvviso senza un finale vero e proprio. Il tutto perchè alla ggente gira così, a prescindere dal fatto che, nel frattempo, Gary Coleman (RIP) era ormai inadeguato come età e non poteva più fare quel personaggio.

Ho anche provato a riassumere il mio disagio generale – non è che questa cosa sia un argomento molto duttile nei salotti e nelle serate tra amici, alla fine – in questi termini.

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Chiaro? Vale per Il trono di spade – di cui non saprei dire neanche per sommi capi di cosa parli, cari amici – vale per qualsiasi serie Netflix, forse vale per la serialità insita in Netflix, che ogni giorno sembra dirci:

Dai, abbonati, sono solo 10 euro/mese, sarai un nostro schiavo 3.0 e non guarderai mai tutto quello che vorresti. Noi nel frattempo ci facciamo i big money e ciao ciao. Vivrai per sempre nella sehnsucht di voler sapere come andrà a finire, sarai eternamente incuriosito da cose che non avrai mai il coraggio di vedere, di provare sul serio. Un po’ come il sadomaso.

Ogni volta che sento parlare di serie TV come Breaking Bad cerco di defilarmi e nascondermi dalla massa, un po’ come il personaggio del buon Nanni Moretti che – quasi 40 anni fa – andava alle feste e rimaneva un po’ in disparte. È più forte di me: la serialità non riesco a capirla, non mi entra in testa, la trovo dispersiva. Parlo da appassionato di cinema che ha consumato in più occasioni l’intera saga del Signore degli anelli di Peter Jackson, organizzava le maratone horror con Nightmare, Venerdì 13 e via dicendo – e ne andavo orgoglioso! Cosa sia cambiato, non saprei dirlo, anche se probabilmente è un fatto di età, di esperienza, di visioni vissute e di tanti piccoli episodi che mi hanno condizionato in negativo.

Sarà anche un discorso di genere, pensavo: ma dopo aver apprezzato l’essenziale linearità di tanti, misconosciuti e poco marketizzabili corti cinematografici, per esempio, sono arrivato alla conclusione che le serie non le capirò proprio mai, a prescindere dal genere (horror, fantascienza, post apocalittico, e via dicendo). Certo le serie hanno sceneggiature lodevoli ed effetti speciali stellari, fuori di dubbio: per me la storia conta tanto, e lo dico senza ironie. Ma alla fine, al netto di cose e dettagli inutili che non riesco a farmi piacere in nessun modo, mi sembreranno sempre più un fenomeno di massa per tenere incollata la gente allo schermo. Almeno, questo avviene secondo me nelle intenzioni di chi le realizza – anche se, sia chiaro, non penso che gli appassionati di serie TV siano ai livelli degli alieni di Essi vivono.**

videodrome

Un po’ come avveniva nel cult Videodrome, per intenderci: creare personaggi catodici o fatti di pixel a cui affezionarsi, con cui stabilire un legame che nella vita reale bla bla bla. Videodrome è un film capolavoro (ed attualissimo ancora oggi), per inciso, ma ha pure contribuito a creare i personaggi social pseudo-intenditori di cinema, quelli che osannano le serie un po’ per partito preso, e per questo vengono regolarmente parodizzati sulla pagina Il cinefilo dell’era dell’internèt (una delle mie pagine umoristiche preferite, by the way). Quelli che pero’, per darsi un tono, capiscono di cinema e ti spiegano con aria saccente che un conto è Kubrick, un altro è Breaking Bad. Ma attenzione: lo giuro, io non sono così, affatto.

Per me anche Thomas Milian e Pierino di Alvaro Vitali hanno pieno diritto di esistenza, hanno un senso, per non parlare dei Monty Python che, sulle serie, hanno costruito la propria fama (personalmente li adoro, ma – anche lì – non sono ancora riuscito a vedere per intero gli episodi del Flying Circus). Per me è così, e mi piacerebbe capire se sono miope, se sto invecchiando male o se qualcosa mi sfugge, magari.

Nel frattempo, proverò a curiosare Mister Robot. E non riuscirò a vederlo tutto, già lo so.

  • * In realtà vorrei essere preso sul serio. Anzi, vorrei guidare la rivolta contro le serie come un novello Spartacus.
  • ** O magari lo penso, ma non seriamente.

PS: no, nessuna ex mi ha mai obbligato a guardare Paso Adelante.

Salvatore Capolupo

Ingegnere informatico, blogger e consulente: per gli amici, più semplicemente, "bravo col computer".
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