Natura e Ambiente

Aquila Arpia: tutto sul maestoso rapace, dai miti al pericolo estinzione

Conosciamo l'arpia, stupendo e bizzarro animale che oggi rischia di estinguersi

Domina i cieli delle foreste pluviali del Sudamerica, ed è il rapace più forte del mondo; nel suo habitat, nessuno supera per grandezza o per potenza l’aquila arpia, uno degli animali più affascinanti del pianeta, che è stata classificata come specie a rischio.

Il suo nome deriva dalla mitologia greca: le arpie, esseri metà donna e metà aquile, erano considerate responsabili delle tempeste e degli uragani, e in alcune leggende avevano addirittura funzione di psicopompi, ovvero accompagnatrici delle anime verso l’Ade.

Aquila Arpia: conosciamo meglio questo eccellente predatore

Un nome che ben si adatta a questa magnifica e possente creatura: con un’apertura alare che può raggiungere i due metri e mezzo e un’altezza che varia dagli 89 ai 150 centimetri, è la specie di aquila più grande del continente americano, e uno dei quattro rapaci più grandi del Pianeta.

L’aquila arpia è considerato il rapace più forte della Terra non solo per le sue impressionanti capacità in volo, ma anche per l’abilità e la potenza nel catturare le sue prede: si nutre senza difficoltà di scimmie e bradipi, strappandoli letteralmente dai loro alberi grazie ai suoi enormi artigli, che possono anche misurare fino a 13 cm.

Grazie alle sue caratteristiche, l’aquila arpia si posiziona in cima alla catena alimentare delle foreste pluviali, assieme al giaguaro e all’anaconda.

Comportamento dell’aquila arpia

Un’arpia vive mediamente tra i 25 e i 35 anni, e la sua longevità aumenta se tenuta in cattività. Questo animale ha un carattere piuttosto schivo, e tende a nidificare sugli alberi più alti delle foreste. Anche se è considerato un predatore solitario, è stato osservato che i nidi di quest’aquila tendono ad essere costruiti piuttosto vicini tra loro.

Le arpie costituiscono un esempio di famiglia estremamente paritaria ed efficiente: si pensa che questi animali rimangano con lo stesso partner per tutta la vita, e la coppia generalmente genera ed alleva un unico piccolo ogni 2-3 anni.

Per tutta la durata dell’incubazione, è il maschio a catturare e nutrire sé stesso e la madre, ma quando l’uovo si schiude, anche la femmina esce a caccia, lasciando il padre a guardia del neonato.

Questo assicura un nutrimento costante e variegato, dal momento che grazie alle sue dimensioni, la femmina riesce a catturare prede più grandi. L’aquilotto viene cresciuto dai genitori per circa 18 mesi, e raggiunge la maturità adulta attorno ai 4-6 anni.

L’arpia non è un animale aggressivo verso l’uomo, a meno che non senta minacciato il proprio nido.

Una specie a rischio d’estinzione

Sebbene il pericolo non sia imminente, l’aquila arpia è stata recentemente inserita dalla IUCN, L’Unione Internazionale per la Conservazione, tra le specie minacciate d’estinzione.

Il nemico principale di questo straordinario rapace è come sempre l’uomo: la deforestazione incontrollata e massiccia delle foreste pluviali ed amazzoniche ha messo a repentaglio la sopravvivenza dell’arpia, che potrebbe presto trovarsi senza un habitat dove poter nidificare.

Attualmente sono attivi programmi di conservazione per salvaguardare questa specie, che nonostante il suo aspetto inquietante, rimane una delle più belle e maestose del pianeta.

Il mito delle Arpie

Il mito delle Arpie è tra i più conosciuto nella mitologia greca: descritte come delle creature infernali, enormi uccelli con testa di donna e considerate come la personificazione dei venti distruttivi e dell’ira.

La figura di Zeus è particolarmente legata alla loro leggenda; gli Antichi Greci credevano infatti che il Padre degli Dèi utilizzasse le Arpie per tormentare coloro che avessero commesso un torto, e addirittura in alcune storie queste creature svolgono la funzione di psicopompi, accompagnando le anime peccatrici al Tartaro, nel Regno dei Morti.

Anche Dante Alighieri ha ripreso queste creature mitologiche nella sua Divina Commedia: nella Selva dei Suicidi, sono proprio le Arpie a tormentare le anime dei dannati, beccando i loro rami e strappando con i loro lunghi artigli le foglie degli alberi in cui sono stati trasformati coloro che hanno commesso suicidio.

Dante le descrive come esseri repellenti, con il ventre piumato, grandi ali nere e il volto di donne. Anche se non è chiaro perché scelse proprio le Arpie come carcerieri, probabilmente la rappresentazione di questi mostri come esseri irascibili e spietati ha ispirato il Sommo Poeta nell’assegnarli come tormento dei violenti contro se stessi.

Necronomidoll

Divoratrice compulsiva di libri, scrittrice in erba, maladaptive daydreamer. Il Culto Vive.
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