Interviste e Network

Mario Iaquinta – Italian Writers

mario iaquintaAbbiamo letto il suo libro e ne abbiamo parlato in questo articolo dedicato alla nostra rubrica: Il Tarlo.

Abbiamo pensato, dunque, che non avremmo avuto altra migliore occasione di parlare a proposito di “Ero più curioso di voi” se non facendo qualche domanda direttamente all’autore.

Allora, completiamo la nostra collana di pubblicazioni in merito al libro su De André con una bella intervista da giocare in casa con il nostro redattore, nonché scrittore dell’opera in questione, Mario Iaquinta.
Qui per Italian Writers, solo su Il Bosone!

  • Ciao Mario, parlaci di te e della tua passione verso la scrittura. Quando è nata e come l’hai sviluppata fino a “Ero più curioso di voi”?

Diciamo che è buona norma essere, prima di uno scrittore, un buon lettore. Fortunatamente, da questo punto di vista non mi faccio mancare niente. Consumo parecchi libri all’anno, sia in cartaceo che in digitale e quindi in alcuni casi la voglia di esprimersi viene di conseguenza. Per quel che riguarda “Ero più curioso di voi”, trattasi della fusione di due passioni di cui la prima – mi vergogno ad affermarlo – è quella di studiare e poi c’è quella per Fabrizio De Andrè che ascolto da quando avevo 12 anni e infatti si vedono i risultati.

  • Come mai il tuo primo libro è un’opera di saggistica e non di narrativa?

Perché ho avuto questa occasione e non un’altra. Fondamentalmente ho già pubblicato qualche racconto in altre opere, antologie. In realtà, stavo lavorando a questo argomento come possibile tesi di laurea magistrale e attraverso la casa editrice che mi ha appoggiato, Aliberti, in particolare a una mia collega che lavorava lì, si è creata la possibilità e io ho potuto formulare, in pratica, il progetto. Si consideri che la tesi si è sviluppata su tutt’altro.

  • Hai paragonato De André a Michel Foucault. Ma De André era più pensatore o cantautore?

Dal punto di vista meramente tecnico, per quello che faceva, De André era un cantautore. Dal punto di vista generale, se vediamo la persona a 360 gradi, è innegabile che dietro le sue canzoni ci sia un pensiero critico. Lui è un po’ quello che dette inizio a questo filone di “cantautori intellettuali” ma avvenne in un periodo (tra gli anni 60 e 70) dove la figura dell’intellettuale si stava già afflosciando.

  • Quanto è soddisfacente riuscire a completare un’opera apprezzata dai suoi lettori?

Non ti mentirò, è parecchio soddisfacente. Innanzitutto c’è il momento in cui ti arriva a casa il pacco con le copie riservate all’autore. Lo apri e vedi materialmente il libro che è tuo e col tuo nome sopra quindi il tuo ego da “presunto scrittore” ne esce sicuramente rinvigorito ma si tratta di una soddisfazione meramente puerile. E’ bello quando ne discuti con gente che l’ha letto e ti fanno i complimenti o ti entrano nel merito del discorso pure essendo magari in disaccordo.

  • Cosa ti senti di consigliare a chi si sta preparando alla pubblicazione del suo primo libro?

Innanzitutto è importantissimo, anzi, fondamentale, la scelta dell’editore. Perché ci sono editori che sono più indirizzati a certi settori a cui il tuo libro può interessare di più. Per esempio, la Aliberti pubblica volentieri dei saggi e il mio libro in particolar modo rientrava in una loro collana dedicata ai cantautori italiani, chiamata Icontemporanei. Ovviamente è utile presentare un’opera che tu reputi essenzialmente buona e che cioè abbia passato già quella fase di revisioni e perfezionamenti necessari a un eventuale presentazione. Mai portare la prima stesura. In fase di scrittura, trovare un proprio metodo che può differire da persona a persona con cui ti trovi bene per la stesura del testo.

  • La lettura, è sicuramente una pratica condivisa dal popolo nerd. Chi scrive, andando anche oltre le tematiche narrative, come nel tuo caso, può reputarsi in qualche modo un nerd a tutti gli effetti?

Dipende, se intendiamo per nerd un uomo afflitto da una passione enorme e totalizzante, che è la teoria N (ogni riferimento a Orgoglio Nerd non è casuale), allora si. Perché se la passione per la scrittura ti prende in modo cosi forte al punto tale di dedicarti così tanto ignorando quello che la gente pensa di te allora si. Scrivere è una passione da nerd in tutti i suoi campi.

  • Come ti sembra il panorama editoriale italiano in rapporto alle esigenze di giovani scrittori o comunque di chi è alle prese con una prima esperienza?

Sono a conoscenza del fatto che esiste anche la pratica di pagare l’editore per essere pubblicato. E’ una cosa che io non avrei fatto ma, dopo tutto, in un mercato editoriale come quello italiano – che è un mercato che arranca – non me la sento di erigermi nella posizione di condannare (un editore che fa una cosa del genere). A parte alcuni casi particolari come un professore che ha la necessità di pubblicazione, non è una pratica con cui mi trovo molto d’accordo perché sembra che sia attuata per la semplice soddisfazione del proprio ego. Ci sono casi e casi, anche Italo Svevo si è auto-pubblicato. Ho avuto la fortuna di interagire con un editore (compagnia editoriale Aliberti) che con me è stato molto chiaro e che non ha richiesto sacrifici da parte mia. Per uno scrittore esordiente che si cimenta in un libro che tratta un argomento particolare, come nel mio caso di saggistica, non è facile trovare un editore che sia disposto a crederci e ad accusarsene le responsabilità anche economiche. Mi ritengo molto soddisfatto e fortunato.

  • Cosa faresti se potessi per risanare l’editoria italiana?

Non lo so, il problema alla base è di tipo culturale. Le statistiche di analfabetismo funzionale non sono rassicuranti. Significa che il 40% della popolazione legge un testo e non lo capisce. Su una base del genere è ovvio che l’editoria non possa pretendere di vendere molto. Di base ci vorrebbe un grosso investimento sulla cultura. D’altra parte, il mercato editoriale dovrebbe cercare di essere meno autoreferenziale. Se rimaniamo in un circuito in cui si pubblica solo per poter dire di aver scritto un libro o solo per il bisogno di mettere questo nel curriculum (tutte cose comunque legittime), quindi senza sforzi protesi verso lo sviluppo di contenuti che “arrivino oltre”, abbiamo solo un circolo vizioso, una cosa chiusa. Se non c’è qualcosa che “metta insieme”, una sorta di passaggio intermedio tra il grande pubblico che legge i romanzi da fenomeno di costume (tipo 50 sfumature) e fra i libri importanti tipo Eco, saranno solo due mercati che si chiuderanno fra di loro.

 

Dave

Atipico consumatore di cinema commerciale, adora tutto quello che odora di pop-corn appena saltati e provoca ardore emotivo. Ha pianto durante il finale di Endgame e riso per quello di Titanic. Sostiene di non aver bisogno di uno psichiatra, sua madre lo ha fatto controllare.
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